Lettera aperta a La Repubblica: “Sardegna. Il governo impugna lo stop per 18 mesi sulle rinnovabili”

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“Gent.ma Redazione,

ho letto con stupore e sconcerto l’articolo pubblicato dal quotidiano La Repubblica (vedi).

Stupore per aver letto contenuti relativi quasi solo ad una prospettiva centrale, interpretata quasi esclusivamente dalle dichiarazioni del Presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani; sconcerto per non aver letto neanche mezza riga di intenti di approfondimento della prospettiva locale.

Il contesto sardo, che nell’articolo Ciafani definisce “ostile” alle rinnovabili, è invece in questo momento molto eterogeneo e presenta posizioni molto variegate. Quello di cui avrebbero bisogno i Sardi, sarebbe prima di tutto una buona informazione, obiettiva e plurale. Anziché omologarci come ostili, tutti a seguire acriticamente l’editore Sergio Zuncheddu e le sue testate, perché non dedicate del tempo a sentire le varie voci, dal mondo della politica alle imprese, dalla società civile all’associazionismo e all’ambientalismo fino al mondo della ricerca?

Scoprirete allora una realtà regionale molto eterogenea, con poche certezze, perché è un mondo che in questo momento soprattutto si interroga.

E qui viene il vostro ruolo, al quale non potete abdicare: se davvero ritenete che un gruppo editoriale privato stia manipolando e condizionando l’opinione pubblica sarda, intervenite anche voi nel dibattito, apportando dati e informazioni verificate che aiutino i cittadini Sardi a capire e successivamente a decidere.

Abbiamo davvero bisogno di capire quanta parte dello sforzo energetico rinnovabile dobbiamo sostenere a livello nazionale, anche rispetto al nostro fabbisogno. E quali possano essere le ricadute positive a livello socio economico, dai costi dell’energia ai nuovi posti di lavoro. Non sono domande banali in un’isola in cui la diffidenza e sfiducia verso le istituzioni sono ai massimi, anche a causa di un’emigrazione galoppante che determina uno spopolamento ormai non sostenibile, con conseguente crollo dei servizi (ad iniziare dalla Sanità) e degli investimenti pubblici in infrastrutture (siamo l’unica regione italiana senza autostrade e con una rete stradale e ferroviaria da terzo mondo, solo per fare un esempio). Facile giudicarci per chi vive a Roma o a Milano.

Sarebbe utile capire fino a che punto la legge consentirebbe ad una società privata di espropriare (o occupare?) terreni privati per realizzare questi impianti. Fino a che punto sarebbero tutelati i diritti dei legittimi proprietari? Anche questa non è una domanda banale in un contesto ambientale e socio economico come quello delle zone interne agro pastorali della Sardegna, dove non esiste l’agricoltura o la zootecnia intensiva, e per questo assolutamente non paragonabili a tante aree agricole d’Italia e d’Europa. Vuol dire essere ostili chiedere che i progetti di inserimento nel territorio degli impianti energetici rinnovabili tengano conto delle specificità delle nostre zone interne e prevedano il coinvolgimento ex ante delle comunità locali?

Questo punto ci porta direttamente alla questione degli impatti ambientali: se è vero che esistono dati scientifici che vedono nelle rinnovabili una strategia irrinunciabile per contrastare il cambiamento climatico, esistono altrettanti dati che dimostrano come gli impianti fotovoltaici, agrivoltaici ed eolici causano frammentazione di ecosistemi ed habitat, interferiscono con numerosi processi biologici come le migrazioni e gli spostamenti dell’avifauna, dei pesci e dei cetacei (per gli impianti off shore), fino a causare erosione ed estinzioni locali di popolazioni di piante e animali. La Sardegna, con circa 2500 piante autoctone, delle quali il 15% endemico, oltre ad elevate percentuali di farfalle, coleotteri, anfibi e rettili unici al mondo (solo per citare alcuni gruppi tassonomici, senza soffermarci sulla elevata ricchezza e diversità di mammiferi, uccelli, funghi, licheni, muschi, fauna e flora marine), è considerata un hotspot di biodiversità a livello mondiale. Vuol dire essere ostili chiederci se quest’isola può permettersi di ospitare mega impianti energetici tanto nelle superfici marine al largo delle proprie coste quanto nelle aree interne, spesso con concentrazioni di pale eoliche già attualmente non sostenibili sulle zone montane, che spesso ospitano alte densità di specie animali e vegetali sensibili agli impatti industriali?

I Sardi non sono, in generale, contro le energie rinnovabili: sono contro la speculazione energetica senza essere coinvolti nei processi decisionali. In un’isola che sta faticosamente cercando alternative all’industria chimica e all’emigrazione galoppante nel turismo sostenibile e nelle filiere agroalimentari, vuol dire essere ostili alle rinnovabili chiedere che gli impianti fotovoltaici e agrivoltaici non consumino suolo arabile? Che gigantesche pale eoliche non vengano impiantate sulle nostre montagne, al largo delle nostre coste o nelle vicinanze dei nostri siti archeologici (tra l’altro in un momento cruciale per la candidatura dei siti nuragici quali patrimonio UNESCO)? È utopistico pensare ad un sistema capillare di impianti rinnovabili medio-piccoli, che vengano installati sui tetti delle abitazioni, delle aziende agricole, dei capannoni industriali e nelle aree industriali dismesse? Vuol dire essere ostili chiedere che i cittadini siano coinvolti nei processi decisionali di individuazione delle aree idonee?

Queste e altre domande si pongono le cittadine e i cittadini di questa isola, e la stampa nazionale ha una grande opportunità: ascoltarci e aiutarci a capire.

Ma non è certamente intervistando il solo Ciafani che si arriva a questo. Provate a contattare i tanti attori locali, provate a capire cosa c’è dietro una petizione come la seguente, lanciata da Stefano Deliperi del Gruppo di Intervento Giuridico, che va veloce verso le 20mila firme (vedi).

Fate un attento e meticoloso factchecking di questo articolo comparso sull’Unione Sarda, e così potrete spiegare ai Sardi cosa c’è secondo voi di errato nelle informazioni veicolate da Mauro Pili, a proposito di una proposta di legge d’iniziativa popolare che, al di là dei presupposti giuridici e degli esiti finali, è e sarà un grande esercizio di democrazia, che non può essere superficialmente e sbrigativamente liquidato come atto ostile (Vedi).

In questo modo potrete veramente aiutare i Sardi a capire e a decidere, incidendo sui processi informativi, apportando qualità e chiarezza nelle informazioni: azione che certamente gioverà alla Sardegna nell’immediato, ma che avrà certamente anche un riverbero positivo su altri contesti italiani nel medio-lungo termine.

Ringraziandovi anticipatamente per l’attenzione che vorrete dedicare a questa mia, porgo a tutte/i voi i miei più cordiali saluti.”

Emmanuele Farris

Docente di Botanica presso l’Università degli Studi di Sassari

Presidente pro tempore della sezione sarda della Società Botanica Italiana

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