Arretrati ai pensionati: ecco quanto si percepirà

Corte-CassazioneCome da sentenza della Corte Costituzionale

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ROMA – L’Ufficio parlamentare di bilancio dedica un intero capitolo del “Rapporto sulla programmazione di bilancio 2015” sulle “implicazioni della sentenza della Corte Costituzionale sulla rivalutazione delle pensioni”.

Di seguito un estratto del testo con le annesse tabelle.

Gli effetti della sentenza

La sentenza della Corte costituzionale n. 70/2015 ha dichiarato l’illegittimità della prima parte dell’articolo 24, comma 25, del DL n. 201/2011 che sospendeva per il biennio 2012/13 la rivalutazione all’inflazione delle pensioni, escluse quelle di importo inferiore a tre volte il minimo INPS, a cui era riconosciuta la rivalutazione integrale.

Va ricordato che il DL n. 201/2011 era intervenuto sul regime previsto, sempre per il biennio 2012/13, dal DL n. 98/2011, che già limitava la rivalutazione delle pensioni (L’articolo 18, comma 3, del DL n. 98/2011 riconosceva ai soggetti con trattamenti superiori a cinque volte il minimo una rivalutazione solo pari al 70 per cento per lo scaglione di pensione fino a tre volte il minimo).

Non è chiaro se la sentenza implichi l’applicazione per il biennio 2012/13 del regime previsto dal DL 98/2011 oppure quello contenuto nella normativa vigente in precedenza. La seguente analisi si basa sullo scenario “peggiore” per la finanza pubblica, cioè il caso in cui, a seguito della sentenza, il meccanismo di perequazione automatico applicabile per il periodo 2012/13 sia quello regolato dalla normativa precedente al DL 98/2011.

Tale normativa dispone che la rivalutazione si applichi in funzione del cumulo dei trattamenti corrisposti al singolo beneficiario (art. 34, comma 1, L. n. 448/1998), mediante un meccanismo a scaglioni (art. 69, comma 1, della L. n. 388/2000) che prevede una indicizzazione:

  1. del 100 per cento per lo scaglione fino a tre volte il trattamento minimo INPS;
  2. del 90 per cento per lo scaglione compreso tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS;
  3. del 75 per cento per lo scaglione superiore a cinque volte il trattamento minimo.

Per il solo triennio 2014/16 sarebbe invece applicabile la rivalutazione dei trattamenti pensionistici stabilita dall’articolo 1, comma 483, della L. n. 147/2013, non modificato dalla pronuncia della Corte costituzionale. Tale disposizione transitoria prevede che la perequazione sia riconosciuta sempre in funzione del cumulo ma mediante un meccanismo per classi che prevede una indicizzazione sull’intero ammontare della pensione:

  1. del 100 per cento per i trattamenti complessivi pari o inferiori a tre volte il minimo INPS;
  2. del 95 per cento per i trattamenti compresi tra tre e quattro volte il trattamento minimo INPS;
  3. del 75 per cento per i trattamenti compresi tra quattro e cinque volte il trattamento minimo INPS;
  4. del 50 per cento per i trattamenti compresi tra cinque e sei volte il trattamento minimo INPS;
  5. del 40 per cento per l’anno 2014 e del 45 per cento per ciascuno degli anni 2015 e 2016 per i trattamenti superiori a sei volte il minimo INPS. La rivalutazione del 40 per cento non è riconosciuta, per il solo anno 2014, con riferimento allo scaglione di importo superiore a sei volte il minimo INPS. Tale sospensione non si applica nel biennio 2015/16, periodo in cui il coefficiente di rivalutazione vale il 45 per cento.

Decorso il triennio 2014/16, disciplinato come già evidenziato dalla L. n. 147/2013, tornerebbero applicabili le percentuali di rivalutazioni precedentemente descritte, previste per l’anno 2011 (art. 34, comma 1 della L. n. 448/1998 e dell’art. 69, comma 1, della L. n. 388/2000).

La tabella 5.1 (di seguito riportata) sintetizza questo scenario, distinguendo tra il regime vigente prima della sentenza e quello a questa successivo in assenza di interventi correttivi da parte del Governo. Al fine di chiarire gli effetti che potrebbe produrre la sentenza, nella figura 5.1 sono evidenziati, esempi che, per alcuni pensionati tipo, indicano i minori importi annuali del trattamento pensionistico dovuti alla mancata indicizzazione conseguente alle disposizioni della norma oggi abrogata.

tabella-5-1_inps

Per meglio comprendere gli effetti potenziali della sentenza – se questa venisse applicata senza misure correttive – va evidenziato che in un meccanismo di indicizzazione la mancata corresponsione della rivalutazione per un solo periodo (effetto “diretto”) non viene in seguito più recuperata e ciò comporta anche una minore base da sottoporre alle rivalutazioni per gli anni successivi (effetto “trascinamento”). Questi effetti possono essere meglio compresi facendo riferimento, a titolo d’esempio, ad alcuni pensionati tipo e calcolando per essi i minori importi annuali del trattamento pensionistico dovuti alla mancata indicizzazione (fig. 5.1).

figura-5-1

Sono stati presi a riferimento soggetti con pensioni pari ai valori centrali delle classi di pensione coinvolte dalla sentenza, rispettivamente 3,5; 4,5; 5,5 volte il minimo e il valore medio della classe oltre 6 volte il TM, pari a 9,3 volte il TM.

Nel caso in esame, per i soggetti con trattamento complessivo superiore a tre volte il minimo, la sospensione avrebbe operato per due annualità: il 2012 e il 2013. Come mostrato dalla figura 5.1, la perdita annuale dovuta alla deindicizzazione si è cumulata nel biennio, per poi stabilizzarsi negli anni successivi, in cui si manifesta solo l’effetto del trascinamento.

Ad esempio, un pensionato con trattamento mensile pari a 3,5 volte il TM (1.639 euro nel 2011) nel 2012 ha ricevuto una pensione più bassa di 567 euro; nel 2013 l’effetto sale a 1.214 euro complessivi (567 di effetto diretto 2012, 630 di effetto diretto 2013 e 17 euro di effetto trascinamento), negli anni successivi l’effetto di trascinamento vale 29 euro nel 2014 e 32 nel 2015.

La piena restituzione degli arretrati equivarrebbe al cumulo dei minori trattamenti ricevuti dai pensionati nel triennio 2012/14. Ad esempio ancora per un pensionato con pensione pari a 3,5 volte il TM, gli arretrati ammontano a circa 3.000 euro. A partire dal 2015 la sua pensione risulta maggiorata di circa 1.230 euro all’anno. È tuttavia necessario considerare che tale restituzione, per la componente relativa agli arretrati costituirebbe una sovra-compensazione. Infatti bisogna tenere conto che mentre le somme non percepite negli anni passati sarebbero state tassate in IRPEF ad aliquota marginale, le somme riscosse a titolo di arretrati sono tassate separatamente all’aliquota media, un regime che risulta sensibilmente meno gravoso.

Sempre con riferimento al pensionato tipo con trattamento mensile pari a 3,5 TM, i minori trattamenti ricevuti per effetto della deindicizzazione (3.000 euro) sarebbero stati tassati ad aliquota marginale di circa il 30% se percepiti anno per anno, mentre sarebbero assoggettati ad una aliquota media pari a circa il 19% nel caso di rimborso integrale.

Quindi il pensionato in esame in passato ha perso potere d’acquisto per 2.100 euro e se oggi fosse rimborsato dell’intero ammontare degli arretrati il suo recupero di potere d’acquisto sarebbe pari a circa 2.400 euro, superiore a quanto perduto.

Il capitolo sulle implicazioni della sentenza della Corte Costituzionale sulla rivalutazione delle pensioni, prosegue poi con l’anali di altri aspetti. Per una consultazione globale del Rapporto, fare clic qui.

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