CRONACA ED EVENTI

Cassazione: dare del “frocio” è diffamazione

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La decisione della Suprema Corte: chi usa questa espressione
“lede l’identità personale altrui”

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ROMA – Non è vero, come sostiene la difesa dell’imputato, che dare del “frocio” a una persona sulla bacheca di Facebook non integra il reato di diffamazione perché ormai questo temine non è più utilizzato in senso denigratorio. Il temine deve invece considerarsi offensivo e lesivo della personalità del soggetto a cui è rivolto. 

Quindi, rischia sempre una condanna per diffamazione chi apostrofa una persona dandole del “frocio”: lo ribadisce la Cassazione con una sentenza depositata lunedì scorso, con la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso di un transessuale che aveva, attraverso Facebook, sostenuto la “presunta omosessualità” di un uomo, apostrofandolo come “frocio” e “schifoso”.

L’imputato, condannato per diffamazione sia in primo che in secondo grado, aveva impugnato la decisione pronunciata dalla Corte d’appello di Milano nel gennaio 2020 contestando nel suo ricorso il “carattere diffamatorio” delle “espressioni” al centro del processo, che, a suo parere, “avrebbero perso per ‘l’evoluzione” della coscienza sociale, il carattere dispregiativo ad esse attribuito” dai giudici del merito.

Una tesi, questa, che la quinta sezione penale del ‘Palazzaccio’, invece, definisce “destituita di ogni fondamento”.

Per la Suprema Corte, infatti, “le suddette espressioni costituiscono invece, oltre che chiara lesione dell’identità personale, veicolo di avvilimento dell’altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato dalle liti furibonde innescate, in ogni dove, dall’attribuzione delle qualità sottese alle espressioni di cui si discute e dal fatto che, nella prassi, molti ricorrono, per recare offesa alla persona, proprio ai termini utilizzati dall’imputato”.

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