La Cellula islamica olbiese

Si decide sulla scarcerazione

BANNER_cellula_islamica_olbia

.

TEMPIO – E’ in corso l’udienza al tribunale del riesame per decidere sull’istanza di scarcerazione di Siddique Muhammad, 37 anni, Imitias e Sultan Wali Khan (40 e 39 anni) sono stati bloccati a Olbia. I tre sono accusati di strage, associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sequestro di persona, attentati, omicidio nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Procura distrettuale di Cagliari con la collaborazione della Digos e della direzione centrale Polizia di prevenzione di Roma che ha portato anche a numerosi arresti nel resto d’Italia.

Secondo l’accusa erano protagonisti di una rete capillare capace di raccogliere una montagna di denari da spedire in Pakistan e Afghanistan e finanziare la Jihad; un’organizzazione stracollaudata per favorire l’ingresso in Italia dei clandestini di serie A, quelli che viaggiano in aereo con le tasche gonfie di contante, tra i seimila e i dodicimila euro, da devolvere alla causa; la tutela della morale islamica attraverso omicidi feroci seguiti dalla divulgazione di foto a scopo dimostrativo; il progetto di attentati anche sul territorio italiano, probabilmente contro il Papa, dopo la strage che ha provocato oltre cento morti al mercato di Peshawar in occasione della visita del Segretario di Stato americano Hillary Clinton; l’ordine di uccidere l’interprete chiamato dalla Polizia a tradurre le intercettazioni.

Una pericolosissima cellula terrorista trasnazionale ha vissuto a Olbia per almeno dieci anni e solo al termine di un’indagine difficilissima è stata sgominata alla fine di aprile quando in Sardegna, ma anche a Bergamo, Macerata, Roma, Frosinone e Foggia, è scattata la maxi operazione.

Il gip Giorgio Altieri, accogliendo la richiesta del pm Danilo Tronci per 18 extra comunitari, aveva detto sì all’arresto di nove pakistani e un afghano. Siddique Muhammad, 37 anni, Imitias e Sultan Wali Khan (40 e 39 anni) sono stati bloccati a Olbia.

Insieme ai tre sardi erano finiti in cella i continentali Niaz Mir, 41 anni, Yahya Khan Ridi, 37 anni (l’unico afghano, rintracciato a Foggia è considerato pericolosissimo), Haq Zaher Ul, 52 anni, l’imam di Brescia Hafiz Muhammad Sulkifal, 43 anni, Zubair Shah, 39 anni, Sher Ghani, 57 anni, Ali Zubair 46 anni.

Tutto è cominciato un mese dopo gli attentati a Londra del 7 luglio 2005. I cani antiesplosivo hanno puntato l’auto sul quale un imprenditore pakistano impegnato a La Maddalena nei cantieri del G8 (poi dirottato a l’Aquila), Sultan Wali Khan, titolare della Anwar costruzioni srl e proprietario di un negozio che rifornisce l’intera Sardegna dei prodotti che i suoi connazionali vendono sulle spiagge, stava per imbarcarsi sul traghetto in partenza da Olbia. La successiva perquisizione a casa ha dato esito negativo. Però, sulla scrivania, gli agenti hanno visto e fotografato su un foglietto una scritta inneggiante al martirio. L’indagine ha presto svelato che si trattava di un elemento di spicco della comunità pakistana in Gallura e finanziatore della moschea. Partite le intercettazioni era stato necessario trovare un interprete che le traducesse. Chissà come i pakistani hanno saputo dell’indagine: minacciato di morte, l’interprete si è defilato.

Così, nell’estate 2006 l’indagine è stata archiviata.

La Polizia di Sassari e la Dda di Cagliari ci hanno riprovato due anni dopo, questa volta attraverso accertamenti legati al traffico di droga. Un diverso interprete è sfuggito al controllo dei suoi connazionali e la Polizia ha potuto scoprire l’orrore: è stato progettato a Olbia l’attentato al mercato di Peshawar, con oltre cento morti, i terroristi residenti in Sardegna erano addirittura sul posto quando è esplosa la bomba: «Tremava la terra», diranno al telefono.

E poi: morti e feriti in attacchi contro auto di poliziotti, esponenti pubblici e rappresentanti di altre religioni, sabotaggi di linee elettriche, attentati contro una scuola femminile. Le intercettazioni hanno perfino permesso alla Digos di sventare un attentato in Vaticano, molto probabilmente contro il Papa, nel 2010: era arrivato nella capitale un kamikaze e per evitare che portasse a segno il suo progetto sono state effettuate alcune perquisizioni. I terroristi hanno capito che la Polizia italiana sapeva e hanno desistito. Ma c’è pure altro: l’imam di Brescia non si limitava all’indottrinamento dei fedeli, al finanziamento del terrorismo, alla ricerca dei martiri, si ergeva anche a tutore della morale islamica fino a ordinare l’uccisione di un uomo e una donna colpevoli di essere andati in spiaggia in costume da bagno. Di quel duplice omicidio non si è mai saputo nulla: ne hanno, però, parlato gli indagati nelle conversazioni intercettate e, soprattutto, c’è la raccapricciante testimonianza di un fotografo di Lodi. Alcuni pakistani gli avevano chiesto di estrarre dal telefonino le foto, tra queste c’era una donna sgozzata, le braccia e le gambe tagliate e sistemate ai lati del corpo. L’inchiesta si è fermata tre anni fa, quando la corrotta polizia pakistana ha informato gli indagati delle rogatorie richieste dalle digos italiane. Da allora ci sono voluti tre anni per tradurre la grandissima mole di intercettazioni dal momento che si è trovato un solo interprete disposto a lavorare per la polizia italiana. Ora è caccia aperta agli imprenditori – italiani – che hanno fornito supporto logistico alla cellula nel traffico di clandestini, attraverso posti di lavoro-truffa assicurati con documenti falsi al fine di procurare permessi di soggiorno da far girare più volte tra i nuovi arrivati.

.

.

.

.

.