
Leggi (bocciate) sulle coste, province «salve» e nomine. La trincea del sardo-leghista Solinas

.
Il Corriere della Sera
.
Il presidente della Regione e il rivale-sindaco Truzzu nel 2023 in coda per il gradimento. Ma Solinas, in questi anni, ha fatto di tutto per bruciarsi il consenso che aveva
.
9 gen 2024 – Ultimo contro ultimo. Matteo Salvini e Giorgia Meloni se ne infischiano, così pare, delle Hit parade del gradimento. I due «uomini forti» (copyright di Libero ) della nostra destra stanno infatti sfidandosi a braccio di ferro in Sardegna, nel primo duello del 2024, con due candidati deboli deboli. Quello di Salvini, il governatore uscente Christian Solinas, dice il monitoraggio governance poll 2023 del Sole 24 Ore , è 20° su 20 nel ranking dei governatori più amati, quello di Meloni Paolo Truzzu è 85° su 87 in quella dei sindaci. Auguri.
Eppure l’uno e l’altra non mollano. E se il «tavolo della coalizione di centrodestra» extraleghista ha appena puntato su Truzzu, il leader del Carroccio insiste su quello che è considerato il suo (voluminoso) pupillo sardo, non a caso soprannominato «Salvinas»: «Squadra che vince non si cambia». Ma questo è il punto: può vincere ancora? Dopo essere stato trascinato nel 2019 al trionfo da un Capitano che volava nei sondaggi al 34% e avrebbe poi preso alle Europee in Sardegna il 27,6%, il governatore che traslocò il Partito Sardo d’Azione da sinistra a destra raccoglieva poche settimane fa, stando a un sondaggio dell’Istituto Piepoli, solo il 14% dei probabili elettori. Distaccato dalla candidata grillina Alessandra Todde, solo d’un soffio davanti a Truzzu e dietro perfino alla forzista Alessandra Zedda che ha deciso ora di candidarsi. Peggio: tra gli elettori del centrodestra la percentuale di insoddisfatti si attestava al 65%. Buonanotte. Non bastasse, Matteo, che alle Politiche dell’autunno ‘22 aveva preso nell’isola il 6,3% (un quarto di Giorgia al 23,6%) sembra un traino meno impetuoso, per usare un eufemismo, di cinque anni fa.
Va da sé che, con le regole del voto regionale sardo che assegnano la vittoria in un solo turno a chi prende un voto in più, la tentazione della premier, al di là dei bla-bla sulla compattezza e l’unità di intenti, può essere irresistibile. Tanto più che Solinas, in questi anni, ha fatto di tutto per bruciarsi il consenso che aveva. Basti dire che, come ricordano gli ambientalisti, ha cocciutamente provato per cinque volte a cambiare le regole sul paesaggio che dai tempi di Renato Soru (che si ricandiderà forse sì forse no: non è ancora chiaro) tentano di difendere le coste sarde dall’assalto cementizio e per quattro volte non solo le sue leggine sono state bocciate dai vari governi ma l’ultima è stata impugnata davanti alla Consulta perfino dal governo amico meloniano. Prova provata, dicono gli oppositori, di un dilettantismo allo sbaraglio.
Che lui non sia un giurista, per carità, si sapeva. Forse per questo, dopo avere spacciato per buona una «laurea» al chiacchierato «Leibniz Business Institute», averne ottenuto una a velocità lampo all’università di Sassari dichiarandosi poi «laureato in Giurisprudenza (V.O. Ante Riforma)» senza mai essere «né avvocato penale né civile» in quanto «storico del Diritto», arrivò a ipotizzare l’assunzione di un «prestigioso» segretario generale della Regione a 285.600 euro. Vale a dire 46.600 più di quanto prende il presidente della Repubblica. Per capirci: 14 volte il Pil pro capite di ogni sardo. Esborso finito nelle bozze di una leggina e rientrato solo dopo una denuncia delle opposizioni e lo scoppio delle polemiche.
Le province? In origine erano tre, poi erano salite a quattro e infine a otto. Troppe, per un’isola grande ma con un numero relativamente ridotto di abitanti. Tanto più che mezza Italia aveva sorriso della nascita di capoluoghi come Tortolì e Lanusei, popolata da 5.283 anime. Una forzatura abolita nel 2012 da un referendum a bassa affluenza ma altissima quota di favorevoli (97%) al ritorno alle quattro ripartizioni. Volontà popolare ribaltata dal sardo-leghista, nonostante lo stesso Roberto Calderoli a suo tempo avesse teorizzato la soppressione delle province «sotto i 300 mila abitanti», con una variante: non più 8 province ma 6 province e due città metropolitane, Cagliari e Sassari. Altra scelta finita a dicembre nel mirino del governo attuale.
E poi il sostanziale ripristino dei vitalizi. Le raffiche di nomine contestate e messe sotto osservazione dalla magistratura che è arrivata a condannare l’assessora Valeria Satta a restituire alla Regione 220 mila euro. Il pasticcio di ricche «caparre» al governatore per affari immobiliari successivamente non andati in porto. Le ironie sull’assai «vistoso» matrimonio in tight, gilet, camicia e cravatta bianche, cilindro, guanti, bastone. Le accuse, sfociate a fine dicembre nella rivelazione, ripresa dall’Ansa, che il presidente è finito sotto inchiesta per «le mancate bonifiche del molo Carbone dove sono presenti ancora diversi detriti derivanti dalle attività militari prima dello smantellamento della base».
Una vergogna, certo, non può essere addebitata solo a Solinas. Basti ricordare come lo stesso Silvio Berlusconi, che fortissimamente aveva appoggiato l’idea (precedente) del G8 alla Maddalena prima di dirottare tutto a L’Aquila dopo il terremoto 2009, si era vantato nel 2008 assicurando che delle acque dell’arcipelago era stata «fatta la più grande bonifica ambientale mai fatta in Italia». Falso. Sono tanti, i responsabili dei ritardi nella disastrosa gestione delle costosissime infrastrutture oggi abbandonate al degrado e più ancora nel disinquinamento. Ma un dato è certo: in cinque anni il governatore sardo-leghista, confermato come commissario straordinario alla bonifica da quattro governi di diverse maggioranze, non ha mai trovato un minuto per andare in visita alla Maddalena e controllare come stavano le cose. Unica eccezione l’estate scorsa, dicono, una gita in barca in un’isola dell’arcipelago. Ma per mangiare il pesce.
Gian Antonio Stella
.
.
.
Commento all'articolo